E mo de che parlo?

7 aprile, 2008
Understatement: è quello che ho percepito rileggendo i post che precedono questo. “Certo!” mi dico, “mi metto davanti al computer una volta a settimana per il mio momento di riflessione che voglio condividere, ecco perché sono così serioso, senza brio, troppo giusto, da libro cuore” (citazione tratta dagli estratti sconclusionati di un giovane xxx (a voi l’opzione di scegliere)). Allora la domanda sorge spontanea, almeno a me che ci ho riflettuto un po’: “Ma per essere responsabile, un’azione deve seguire l’essere o il dover essere?” Ho cercato di rispondere senza scendere negli universalismi che ci porterebbero a dire che nessuna delle due opzioni è condivisibile. In soldini: si sa sempre ciò che è responsabile, ma è responsabile seguire anche i propri istinti? Si è responsabili ascoltandosi piuttosto che seguendo un copione impostoci da noi stessi e dagli altri? Sta di fatto che questa è una tematica sfiorata nel primo incontro di “Muttley fa qualcosa“, molto carino, nel quale, in un ambiente amichevole, stimolante  e “semi – spontaneo”:-) (mamma mia come vengono orribili gli emoticons in corsivo!) le mie rotelle arrugiinite hanno ri-cominciato (per salvare il salvabile della mia autostima) a ruotare.  
Il tutto, per trarre le somme è: non tutto ciò crediamo debba essere, lo è veramente, ma soprattutto non tutto ciò che crediamo di dover essere, lo deve essere veramente. Rilassiamoci,e siamo irresponsabilmente responsabili scegliendo di non dover percorrere la nostra vita su un binario di ferro, dove per forza ci deve essere senso. Forse è l’unica cosa sensata.

 


Rapportarsi con la morte

30 marzo, 2008

 

Ci sono cose nella vita che tendiamo a non vedere perché non sono facili da affrontare: una tra queste è la morte. Un argomento davanti al quale posso dire davvero poco, in quanto io stesso tendo a nasconderla, a non affrontarla. Solo chi ha vissuto un lutto può capire le sensazioni che si provano. E’ facile dire che la vita va avanti, spesso invece sembra che non sia così.

Mi sono sentito dire che bisogna vivere anche in funzione della morte, ma come è possibile? Ieri, per esempio, il prete davanti ad una chiesa gremita, durante il funerale di una nostra cara amica di famiglia ha dato una chiave di lettura per me poco condivisibile: bisogna vivere per farsi voler bene. A mio avviso bisogna vivere volendo bene, senza secondi fini, anzi delle volte avendo la forza di rimanere nell’ombra,condividendo il più possibile con le persone a cui teniamo davvero, senza aspettare un domani incerto.

La società si rapporta con la morte stando il più possibile vicino ai parenti stretti. Si inviano telegrammi, fiori si fanno tante cose della cui utilità delle volte non si capisce bene il senso. La credenza comune è che la coesione sociale aiuti a sopportare il dolore. Ma è davvero così?

Vista dall’esterno non so mai come rapportarmi né con la morte né con le persone a cui porgere le condoglianze, finendo quindi nel rimanere nella immobilità totale.  Una volta che una persona non c’è più, c’è ben poco da fare, se non ricordare i bei momenti passati assieme. Più il dolore è intimo, più è possibile superarlo da soli o con le poche persone con le quali c’è una profonda affinità spirituale. Il resto è solo rumore.

Foto tratta da qui.


Oltre

25 marzo, 2008

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Ci sono attimi nella propria vita in cui si guarda al di là del periodo che si sta vivendo, non perché si cerca di fare dei programmi, ma semplicemente per guardare oltre al presente. Come oggi. In questa fase vedo la mia vita girare a vuoto, come quando si accelera stando in folle. Tutto si muove, i giorni passano, ma rimango fermo. Un immobilismo che mi spaventa, ma di cui sono consapevole, anche del fatto che al momento questa fase è inevitabile. Prima devo mettere in ordine alcune cose, per poi inserire la marcia e ripartire. E’ per questo che sto guardando oltre. Ma fino ad allora?

Le opzioni sono tante: deprimersi, narcotizzarsi con corsi vari, andare in letargo mentale, etc. La mia scelta invece è, da bravo capricorno, di abbassare la testa, prendere la rincorsa e affrontare la situazione a cornate. E’ mia convinzione, infatti, che le piccole difficoltà se prese sotto il punto di vista costruttivo ci diano l’opportunità di forgiarci, di progredire, di sviluppare senso critico e creatività. Questo credo possa essere esteso un po’ a tutti, soprattutto nel contesto di questi tempi, dove anche ogni cosa deve essere pervasa da pessimismo, da crisi generalizzata. Ci sono delle cose che sono fuori dalla nostra portata, per le quali non abbiamo margine d’azione. Concentriamoci solo sulle cose nelle quali possiamo fare la differenza e guardiamo anche oltre. Oggi mi ha fatto compagnia Claudio Baglioni, che mi fa piacere parafrasare: “La vita è adesso. Io vivo e  sono qui. Tra sparire o sparare, scelgo ancora di sperare. Non sono l’uomo giusto, ma giusto un uomo”. Ma soprattutto: “Giura amico mio che glielo metteremo ancora lì a questa vita, che va via così, senza aspettarci”.

Foto tratta da qui.


Quando vincono le macchine

17 marzo, 2008


 

Quello che mi è accaduto questo fine settimana mi ha lasciato alquanto perplesso: sono stato più di 10 ore a congelarmi perché un semplice termostato non funzionava. Per questo uno stabile fieristico è rimasto con l’aria condizionata accesa benché già la giornata uggiosa aveva provveduto al fresco. E questo mi ha fatto riflettere sul “ipertecnicismo” dei nostri giorni, a quanto tempo della nostra vita dedichiamo stando al servizio della tecnologia. Il libro “La caffettiera del masochista” parla benissimo della tecnocrazia e dell’Ergonomia già dal titolo.

E’chiaro che non è possibile fare gli assolutisti, anche perché sto scrivendo grazie al fatto che in questi attimi i panni li sta lavando la mia dolce Margherita. Piuttosto è il caso di pensare al fatto che quando qualcosa non è più funzionale e funzionante non è pensabile di stare in balia delle macchine, stando noi al loro servizio piuttosto che il contrario.

Perché non uccidere il mostro già da piccolo? Perché non riflettere sul fatto che la nostra vita può e deve scorrere indipendentemente dalle chincaglierie tecnologiche? Se i mezzi tecnologici cominciano ad apportare solo intralci nella vita dovremmo essere in grado di sbrigare le nostre faccende anche senza di loro. In questo caso, senza la dipendenza dalla tecnologia, la nostra vita potrebbe migliorare perché arriveremo al punto in cui il loro uso non sarà una dipendenza, ma un piacere aggiunto, così come è comodo avere l’autostrada, ma dobbiamo avere la possibilità di scegliere anche la strada ordinaria, magari aiutati da Esmeralda, la mia fedele voce del navigatore!

Foto tratta da qui.


Riorientarsi

10 marzo, 2008

 

Il senso dell’orientamento ce l’hai oppure no. Nel secondo caso magari un navigatore satellitare può essere un supporto utile. C’è però una situazione di fronte alla quale un po’ tutti ci siamo trovati, quella di non avere né la men che minima idea di dove ci si trovi, né si ha una piantina a disposizione. Un po’ come quando da piccoli si giocava ad acchiapparella bendati e, una volta tolta la benda, non ci si rendeva conto di dove si era. Bene è quanto metaforicamente mi sta succedendo in questo periodo. Mi trovo di fronte alla mia vita scombinata, per fortuna grazie ad una bella opportunità. Sta di fatto che, se prima avevo almeno l’impressione di poter gestire i miei tempi, ora sono proprio in balia delle acque. Non a caso la scorsa settimana ho saltato anche la pubblicazione di post.

In questi casi possono venirci d’aiuto le tecniche di gestione del tempo che ci portano a selezionare le nostre attività da svolgere. La parte ardua in questa tecnica sta nel fatto di scegliere cosa per noi è più importante e prioritario. Suona davvero strano fare una propria scala di preferenze, soprattutto se si tratta di persone. Dobbiamo ricordarci in questi casi che non siamo macchine, abbiamo bisogno dei nostri tempi, ma soprattutto dell’ascolto. Ascoltarsi, essere capaci anche di fare un respiro profondo e di rilassarsi. Riorientarsi vuol dire anche saper scegliere a cosa rinunciare. Se l’attuare scelte responsabili è un’azione facile, scegliere non è semplice, benché sappiamo quale direzione prendere. Se ci domandiamo dove vogliamo andare, la risposta l’abbiamo. Solo che a volte ci capita fortunatamente di trovare qualcosa per la strada che ci sorprende, come dei lavoro in corso che modificano la realtà, e che mettono in difficoltà, non solo noi, ma anche i migliori navigatori satellitari. Solo che noi con la nostra creatività e determinazione, la strada, se vogliamo, la troviamo. Anche perché, come dice un detto, se non sappiamo dove vogliamo andare, non ci arriveremo mai.

Foto tratta da qui.


Partito il nuovo Grande Fratello

25 febbraio, 2008

 

Mentre vagavo per la città, mi sono soffermato a riflettere sulla nuova campagna elettorale da poco iniziata. Metto subito le mani avanti perché notoriamente di politica ne capisco ben poco, ma in ogni caso cerco sempre di farmi una mia idea e di andare a votare sempre e comunque. Se proprio si vuole protestare, credo che si possa annullare la scheda, ma il diritto di voto è sia un anche un nostro dovere di cittadini, sia un diritto conquistato con il sangue dai nostri antenati. Questo lo dico perché da più parti ho sentito la voglia di esprimere il proprio malcontento non andando a votare, azione che non credo sia responsabile.

La campagna è iniziata con Veltroni a Pescara, che ha pranzato a casa di una famiglia con una schiera di telecamere. Non mi sono potuto astenere dal pensare ad un parallelo con la casa del “Grande Fratello” , concludendo che i politici vivono la campagna elettorale come gli abitanti della casa del reality, dove ognuno è contro l’altro, si deve sembrare più buoni,bravi e belli, si fanno coalizioni, inciuci, ci si accoppia, e poi alla fine il voto decreta la vittoria. Anche i contenuti da tempo sono scaduti a livello Grande Fratello: promesse, credenze, confronti, valori spiattellati. Ma alla fine tutto combacia, perché loro vivono il reality, noi la realtà, anche se tentano di farci credere il contrario. Mai come questa volta però sarà tanto impegnativo fare le proprie scelte.

Foto tratta da qui.


Io lo so che non sono solo

19 febbraio, 2008

 

 

Noi single siamo in continua crescita. Lo hanno sancito anche le ultime statistiche Istat sui residenti nel 2007: più di 10 milioni di italiani sono senza una dolce metà (celibi + nubili). Tanto  per cominciare, il termine dolce metà proprio non mi piace, non solo perché preferisco il salato al dolce, ma anche perché  non mi sento incompleto, come si mi mancasse una parte.

Come dice il mio amico Pierangelo, l’uomo è un animale sociale, è fatto per stare in compagnia. Niente di più vero, ma a patto di stare bene con se stessi. Mi piace sempre andare verso qualcosa, piuttosto che scappare. Se si scappa, l’unico obiettivo è di andare via da qualcosa, senza una meta ben specifica, solo per fuggire da qualcosa di non piacevole. Piuttosto a me piace andare verso qualcosa di piacevole. Nel caso della scelta di un partner, credo che non ci possa essere nulla di più deleterio di unirsi perché non si vuole stare soli o per dimenticare un’altra storia. Di contro, c’è anche un’altro rischio: quello di scoprire quanto è bello stare anche soli. Con questo voglio intendere, ad esempio l’abitare da soli, l’essere liberi pienamente, senza vincoli. Si dovrebbe essere liberi anche in due, teoricamente, tuttavia praticamente è impegnativo che ciò avvenga, anche perché non abbiamo più solo noi stessi da rispettare, ma anche un’altra persona.

La domanda è: fino a che punto è bene essere single? Da cui può nascere la domanda: fino a che punto è bene stare insieme? Ma affrontiamo una domanda alla volta!

A quanto ho capito esistono diverse scuole di pensiero, quella del rimorchio, quella della capatura dei fagiolini e quella della ricerca. La scuola di pensiero del rimorchio persegue il motto “sarò solo fino a quando qualche anima pia (ma con la gente che circola di questi tempi si vedono solo trogloditi…) non si accorga che esisto in questo pianeta”; quella della capatura dei fagiolini vede la selezione del prossimo come un processo selettivo con rigidi standard e procedure, che spesso fanno escludere una persona dalle eleggibili solo per caratteristiche superficiali ; ed infine la scuola della ricerca vede il rapporto con l’altro come momento che integra la vita di due individualità, che, proprio per questo, deve basarsi sulla conoscenza del prossimo vista più come una missione che come un mezzo.

Non seguo queste scuole, credo che stare insieme non deve essere un obbligo, ma un’opzione, peraltro piacevole per entrambe le persone. Per questo credo che bisogna essere single fino a che non si senta quello che in Sex and the City viene definito “tza tza tzu”, una attrazione unica, sperando che venga contraccambiata! Se c’è lo tza tza tzu non è neanche il caso di parlare, perché la razionalità toglie le tende dalla nostre azioni.

Di fatto ora l’essere single è un vero affare per l’economia, dati Coldiretti alla mano un single spende il 60% in più rispetto ad una famiglia per i generi alimentari. E non solo: come saggiamente il prete nel film “Casomai” argomentava, una società frammentata ha bisogno di due dentifrici, due stendibiancheria, due case, etc. E allora un’altra domanda: non è che siamo sempre più single perché siamo sempre più egocentrici, più impegnati a costruirci la nostra vita di successo piuttosto che una vita condivisa, a fare sempre più sport individuali, videogiochi? Non è che siamo sempre più single anche stando in coppia?

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Il terzo tempo

10 febbraio, 2008

 

Cosa dovrebbe veicolare lo sport? Credo che tutti saremo d’accordo sul fatto che alla sua base dovrebbero esserci valori come il rispetto, la sana competizione, la partecipazione.

Luigi mi stava parlando proprio oggi del torneo 6 nazioni di Rugby, sport per me che non seguo neanche il calcio davvero distante. Mano a mano che me ne descriveva le caratteristiche mi sono cominciato ad interessare, soprattutto al cd. “Terzo tempo”, ovvero l’attimo in cui si mettono da parte la palla e le rivalità e si crea una piacevole atmosfera conviviale tra giocatori di entrambe le squadre e i loro tifosi. Il messaggio è chiaro: nel gioco facciamo del nostro meglio per vincere, nella vita possiamo benissimo essere pacifici conoscenti. Un pò quello che abbiamo imparato da cartoni animati come Mila e Shiro, Holly e Benj : dedizione, allenamento, competizione ed amicizia.

Tra l’altro la Federazione Italiana Rugby è attiva anche dal punto di vista sociale, lo scorso anno è supportata la campagna “Obiettivo Scuola di Terre des hommes Italia per portare 10.000 bambini nelle aule di tutto il mondo” grazie agli sms solidali

Credo che molti di noi potremmo imparare a passare dal primo e secondo tempo anche al terzo tempo, se non sul campo, con il nostro prossimo, magari tra colleghi di lavoro, di scuola, etc.

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Il verbo rifiutare

4 febbraio, 2008

 

Ho appena finito di ascoltare alla trasmissione “Che tempo che fa” il commissario straordinario per la questione dei rifiuti in Campania Gianni de Gennaro e ho trovato interessante il suo intervento. Il mio interesse è sia da studente in Scienze della comunicazione, sia da “osservatore della realtà” per questo blog.  Da comunicatore devo fare i complimenti, a parte per alcune parole killer come “difficile” che dovrebbe venir sostituito da “impegnativo” secondo i dettami della PNL, perché ha saputo fare un intervento centrando i punti chiavi di una comunicazione di crisi: trasparenza, chiarezza e lealtà. Non è mia intenzione inoltrarmi sulla crisi dei rifiuti in Campania, da questa faccenda tuttavia ho capito una cosa: per pensare in grande, bisogna pensare in piccolo. Dobbiamo sempre puntare in alto, ma in cima si arriva un passo alla volta. Tutto parte dalla risorsa tempo: non può essere buttata indistintamente come un rifiuto. Il tempo va gestito attivamente selezionando le varie attività che si intende attuare, per poi suddividerle in unità di tempo, tale che già alla prima unità sia possibile capire se si è in regola o meno con la propria tabella di marcia, e se no attivare un’azione correttiva. E questo Gianni de Gennaro lo sa benissimo: è stato lui stesso a dire all’Italia intera che ogni ora vengono prodotte in Campania 50 tonnellate di rifiuti al minuto. Peccato che lui sia stato il primo a rendersene conto.

Da osservatore di questo blog, non posso che sottolineare che prima di rifiutare qualcosa, bisogna prima averla scelta. Pertanto facciamo davvero attenzione a ciò che scegliamo di consumare, anche in base alla sostenibilità della confezione e al suo riciclaggio, dopo una sua attenta differenziazione nei rifiuti. Rifiutiamoci di rifiutare ciò che può essere ancora utile per noi o per il nostro ambiente.

Foto tratta da qui.


Buon lavoro!

28 gennaio, 2008

Speriamo che il titolo di questo bel video sia di buon auspicio specialmente ai manager, che possano recepire nella maniera più corretta questo lavoro di Giuseppe D’Orsi. Anche per me, perché no, in quanto dopo un anno, finalmente, questo blog diventa multimediale e sto per iniziare un nuovo lavoro!